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SANTINI_ rel 2010

Relazione di Wanda Santini

Tutor: Professoressa Maria Antonietta Grignani

 

 

Nello scriptorium de Il quinto evangelio.

Esercizi di genetica transtestuale

 

 

 

Saremmo infatti invogliati a frugare fra le carte di Pomilio da filologi,

e da filologi non fantastici, ma ancorati all'etica del rigore e della positività dei dati,

per illustrare adeguatamente «come lavorava» Mario Pomilio.

Ma questo è un capitolo affascinante che aspetta future generazioni di studiosi.

(Pietro Gibellini)

 

 

 

 

Oggetto della ricerca

Il mio progetto di ricerca ha per oggetto il romanzo Il Quinto Evangelio di Mario Pomilio, uscito per l'editore milanese Rusconi nel 1975; si tratta di un’opera complessa, dalla vocazione – potremmo dire con Genette – intimamente transtestuale: tesa cioè a valicare i propri limiti nella costante interazione, manifesta od occulta, con altri testi[1]. Il romanzo si costruisce infatti come raccolta di fonti relative a un misterioso quinto vangelo: l'allestimento del dossier documentario si deve, stando a quanto narrato nella cornice, alla folle dedizione di uno studioso americano, Peter Bergin, che all'inseguimento di questo testo ha consacrato l'intera esistenza, e in fin di vita invia il frutto della sue fatiche al segretario della Pontificia Commissione Biblica a Roma. La struttura dell'opera forza quindi i limiti della narrazione tradizionale per accogliere lettere, leggende, cronache, confessioni presentate come documenti storici e fatte risalire ad un arco cronologico che dal VII secolo si allunga a sfiorare la contemporaneità: si tratta di un insieme eterogeneo, una varietas provvidenzialmente imbrigliata dalla ricerca unificante del Libro.

La complessa articolazione della struttura dell’opera giustifica, credo, l’adozione di una prospettiva di studio che privilegi la dimensione genetica: scelta questa ulteriormente legittimata dalla disponibilità dei materiali che testimoniano l’elaborazione del testo, e che sono conservati integralmente all’interno del Fondo Pomilio presso il Centro Manoscritti della nostra Università[2]. Una descrizione il più possibile dettagliata del cantiere pomiliano è, per l’appunto, l’obiettivo del mio lavoro.

 

Stato di avanzamento della ricerca

Partiamo dunque dal principio. I  materiali elaborativi de Il quinto evangelio sono attualmente conservati in tre faldoni: la tripartizione riflette l’ordinamento originario delle carte, che sono giunte al Centro Manoscritti già suddivise tipologicamente in materiali pre-redazionali, redazionali e pre-editoriali. Di fatto, il gesto teorico dell'organizzazione, che trasforma le carte autografe in oggetto scientifico in «avantesto» – si  deve nel caso specifico alla precisione filologica dell'autore stesso.

Nel corso del primo anno di dottorato ho provveduto all’allestimento di una descrizione completa del dossier autoriale e ho escluso – sulla base dell’esame dei materiali, e in forza della loro mole – sia l’ipotesi di fornire un’edizione critica del testo, sia l’idea di riprodurre integralmente una o più sezioni del dossier. Ho optato invece decisamente per un’indagine che facesse perno in maniera abbastanza libera sui materiali avantestuali e mirasse all’individuazione di procedure e modalità di lavoro costanti all’interno del cantiere autoriale, senza pretese di esaustività nell’esemplificazione delle stesse. A questa indagine ho dedicato il secondo anno.

Il risultato più interessante cui sono pervenuta è la dimostrazione della fondatezza dei sospetti di ipertestualità fraudolenta che l’opera di Pomilio solleva in qualunque lettore: i sospetti, in parole povere, che il rapporto di dipendenza da materiali documentari realmente esistenti sia più significativo di quanto Pomilio non dichiari nella nota in calce al romanzo. Molte delle “fonti” che l’autore presenta come immaginarie sono in realtà ipertesti costruiti a partire da materiali storici o storiografici, filosofici o filologici.

In questa sede intendo soffermarmi su uno dei problemi più interessanti sollevati dal carattere ipertestuale del romanzo: la sostanza testuale del quinto vangelo è fantastica o filologica? In altre parole: i frammenti che Pomilio presenta come appartenenti a questo testo sono il prodotto della sua invenzione, oppure si inseriscono in una rete di relazioni intertestuali?

Per rispondere a questo interrogativo ho innanzitutto allestito un elenco dei frammenti quintoevangelici: in esso ho incluso tutti i passaggi del romanzo che vengono esplicitamente presentati come frammenti di un quinto vangelo perduto.

Alla fase preliminare di schedatura dei frammenti ha fatto seguito l’acquisizione di dati potenzialmente interessanti a partire dai materiali elaborativi del romanzo. Nelle fasi di ricerca preliminari alla stesura del romanzo Pomilio frequenta assiduamente la propria biblioteca personale e diverse biblioteche pubbliche, tra cui la Nazionale di Napoli. I quaderni che fungono da registro di questa intensa attività di documentazione contengono decine di pagine di appunti e piccole bibliografie per argomento, che il nostro autore costruisce con certosina abbondanza di dettagli: indica cioè sistematicamente titoli autori e addirittura segnature dei volumi consultati.

Le indicazioni bibliografiche ricavabili dai materiali elaborativi sono state combinate con un censimento – il più ampio possibile – delle opere relative alla letteratura canonica e apocrifa che erano già state pubblicate all'altezza degli anni dell'elaborazione del romanzo, ed erano quindi disponibili alla consultazione da parte del nostro autore: è stato così possibile circoscrivere efficacemente il panorama delle letture che possono aver fornito a Pomilio la materia dei suoi frammenti.

Una volta definito il panorama delle probabili letture pomiliane, ho potuto effettuare un sistematico confronto tra i frammenti quintoevangelici e la letteratura canonica ed extracanonica cui verosimilmente Pomilio ha avuto accesso. Questo confronto mi ha permesso di appurare, in primo luogo, che 97 delle 136 tessere quintoevangeliche sono coniazioni originali elaborate da Pomilio a partire dall’assunzione di  materiali canonici e non. Più interessante è il dato complementare, cioè il fatto che nei 39 casi restanti i frammenti evangelici sono citazioni puntuali, tratte quasi esclusivamente da testi apocrifi.

Mi limito a segnalare qui l’aspetto che credo culturalmente, oltre che filologicamente più significativo: su 39 casi di citazione puntuale, 20 possono essere ricondotti al Vangelo di Filippo (3) e al Vangelo di Tommaso (17); cioè ai due principali tra i testi gnostici il cui ritrovamento avvenne nel 1945 a Nag-Hammâdi, in Alto Egitto – più o meno contemporaneamente al rinvenimento dei manoscritti del Mar Morto nelle grotte di Qumran; testi il cui ritrovamento determinò un vero e proprio sommovimento nella storia della filologia dei testi sacri[3].

Eccezionale interesse riscosse in particolare il Vangelo di Tommaso, di cui si conosceva l’esistenza soltanto attraverso allusioni e qualche citazione nella letteratura patristica. Il manoscritto che lo conserva risale al IV secolo, ma gli studiosi ritennero, già al momento della scoperta, di poter collocare l’originale nella prima metà del II secolo: in altre parole, molto vicino alle date di composizione dei Vangeli canonici, e tra i primi documenti cristiani.

Ora: il Vangelo di Tommaso, pur presentando notevoli legami con i canonici, non deriva da essi: presenta infatti un’immagine di Gesù che non coincide con quella dei sinottici ed è da essa indipendente. Se Tommaso non dipende dai sinottici, si deve senz’altro supporre una fonte comune (o una collezione scritta di detti o una fonte orale) da cui abbiano preso le mosse tanto i Vangeli canonici quanto il Vangelo di Tommaso; evidentemente, se così fosse, il testo copto assurgerebbe a dignità filologico-testuale pari a quella dei canonici: si configurerebbe cioè come una specie di «quinto vangelo», per usare le parole che nel 1969 Marcello Craveri applicava al testo nell’edizione Einaudi degli Apocrifi[4].

Non stupisce allora che la diffusione di questo testo e degli altri rinvenuti a Nag-Hammâdi – avvenuta a partire dalla fine degli anni Cinquanta abbia toccato la sensibilità dei cattolici più avvertiti, portando alla ribalta le problematiche ataviche della compiutezza della rivelazione, e della costituzione del canone. L’attualità delle questioni relative al testo sacro e alla sua trasmissione verrà poi sancita, di lì a pochissimo, dal Concilio Vaticano II: la costituzione Sacrosantum concilium affronterà infatti proprio il problema della vitalità del Verbo, liberandolo definitivamente dalla gabbia della lingua latina, e garantendo ai testi canonici e alla liturgia una maggiore accessibilità.

Il fatto che Pomilio pubblichi, nel 1975, un romanzo che ripropone ossessivamente, e fa perno  sulla massima paolina "la parola non è in catene"; che di fatto problematizza il concetto di compiutezza della Rivelazione postulando l’esistenza di un quinto vangelo; e che per di più attinge largamente alla letteratura non canonica di ispirazione gnostica, dimostra – credo – l’attualità anche polemica dell’operazione culturale che l’autore mette in atto. E, indirettamente, le potenzialità ermeneutiche di una corretta valutazione dello statuto ipertestuale dell’opera.

 

Possibili sviluppi

Con questo esempio spero di aver mostrato come la scelta di indagare per campioni il carattere ipertestuale del romanzo, e selezionare alcuni materiali a scapito di altri, non rappresenti necessariamente una limitazione del discorso critico sull'opera.

Il lavoro di ricerca sui frammenti quintoevangelici – pur essendo solo uno dei molti sentieri percorribili nei territori della genesi del romanzo – ha permesso di provare su base testuale, da una parte, l'interesse di Pomilio nei confronti dell'emersione di nuovi testi sacri;  dall'altra, il suo appropriarsi narrativamente delle discussioni conciliari riguardanti il testo sacro. Un'indagine incentrata su una sezione dell'avantesto ha offerto così solide basi per connettere l'oggetto Quinto evangelio al suo contesto; e più precisamente a due delle maggiori emozioni culturali che attraversano il cattolicesimo tra gli anni sessanta e settanta.

L'approfondimento della dimensione contestuale sarà quindi una delle linee di sviluppo del mio lavoro. Parallelamente, proseguirò le indagini sulla genesi dell'opera, privilegiando gli aspetti di lingua e stile: in altre parole, cercando di definire in quale modo e in quale misura il meccanismo di mimesi linguistico-stilistica della fonte interagisca con i tratti caratterizzanti della prosa di Pomilio narratore.

 

 

 



La citazione in esergo è tratta da  Pietro Gibellini, La filologia fantastica di Pomilio, in AA.VV., Mario Pomilio e il romanzo italiano del Novecento. Atti del convegno di studi su Mario Pomilio svoltosi a Napoli presso l'Istituto Suor Orsola Benincasa, 19-20 Aprile 1991, Guida, Napoli 1995, pp. 53.

[1] Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino 1997, p. 3.

[2] Per una sintetica descrizione delle caratteristiche del Fondo Pomilio si veda A carte scoperte. Repertorio dei fondi letterari lombardi del Novecento. Archivi di persona, a cura di Simone Albonico e Silvia Albesano, Officina Libraria, Milano 2009, p. 102.

[3] La scoperta della biblioteca gnostica è avvenuta nella zona di Khenoboskhion, dove al principio del IV secolo Pacomio aveva fondato un monastero cristiano. Complicate questioni circa i diritti di possesso e di acquisto dei testi rinvenuti hanno ritardato fino al 1956 l’inizio regolare degli studi, salvo per un piccolo gruppo di essi, tempestivamente acquistato dall’Istituto Jung di Zurigo. Poi gli studi sono stati di nuovo sospesi, e ripresi nel 1962, dopo un accordo tra l’Unesco e il governo della Repubblica araba unita; una nuova interruzione è stata causata, nel giugno del 1967, dalla guerra arabo-isrealiana. Alla fine degli anni Sessanta – cioè nel momento in cui presumibilmente Pomilio attende alla composizione della sua opera, e si documenta sull’argomento –  i tredici codici in papiro, contenenti complessivamente 49 scritti gnostici, sono stati catalogati, sommariamente esaminati, e in alcuni casi trascritti e studiati. La più recente monografia relativa all’argomento è M. Meyer, The Gnostic Discoveries, HarperSanFrancisco, New York 2005.

[4] Marcello Craveri, (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1969.

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