Università degli Studi di Pavia

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MARINONI relazione 2010

 
Dottorato di ricerca in Filologia Moderna – XXIV ciclo
Relazione di fine anno di Federica Marinoni – 23 giugno 2010
Tutor prof. Renzo Cremante
 
Progetto di ricerca
Il Carteggio Adofo Borgognoni – Giosue Carducci (1865-1893) – (titolo provvisorio)
 
L’esperienza del lavoro di tesi per la laurea specialistica (Nelle trincee del metodo storico. Appunti su Ireneo Sanesi, filologo e storico della letteratura italiana. Relatore: prof. Renzo Cremante), poi confluito in alcune pubblicazioni (edizione e commento del carteggio Sanesi-Novati – in “Archivi del nuovo”, n. 16/17, 2008, pp. 5-65 – e delle inedite Memorie di un uomo oscuro di Ireneo Sanesi, che hanno visto la luce lo scorso gennaio nella collana del Centro per la Storia dell’Università di Pavia), mi ha suggerito di continuare a lavorare in questo campo di studi, spostando la mia attenzione su un’altra figura di studioso che ha esercitato il suo magistero nell’Università di Pavia, Adolfo Borgognoni (Corropoli, 1840 – Pavia, 1893), professore di Letteratura italiana dal 1889 al 1893. Borgognoni è figura di qualche interesse nella storia degli studi filologici ed eruditi ottocenteschi, della quale mi propongo di indagare, in particolare, le radici classicistiche e libertarie che lo legano saldamente alla tradizione di certa scuola romagnola, le strette relazioni culturali e d’amicizia che intrattenne per tutta la vita con Giosue Carducci, le ragioni di convergenza, ma soprattutto di divergenza con i metodi della scuola storica.
Il mio progetto di ricerca prende avvio dalla pubblicazione e illustrazione del carteggio Adolfo Borgognoni – Giosue Carducci. La ricerca potrà giovarsi di importanti nuclei documentari conservati presso il Fondo Manoscritti della nostra Università (che, nel Fondo Cesare Angelini, conserva circa 270 lettere scritte a Borgognoni da diversi esponenti della critica letteraria italiana di secondo Ottocento, da Alessandro D’Ancona, a Ernesto Monaci, a Pio Rajna), presso la Biblioteca Classense di Ravenna e presso Casa Carducci a Bologna.
Un’ulteriore fonte per la documentazione è offerta dall’Archivio Storico del nostro Ateneo, che conserva verbali di facoltà, registri delle lezioni, fascicoli personali del docente e dei suoi allievi: materiali utili a ricostruire l’attività di Borgognoni professore e ad inquadrarla nella storia dell’Università.
 
Stato dei lavori
Il lavoro dello scorso anno si era concluso con la trascrizione completa dei 220 pezzi di corrispondenza di Adolfo Borgognoni a Giosue Carducci e con il reperimento di tutte le missive all’amico romagnolo di quest’ultimo, che, complessivamente, nell’Edizione Nazionale delle Lettere, sono 66 (suddivise nel voll. IV-XVIII e XXII). Lo studio delle lettere carducciane, che saranno ovviamente ripubblicate integralmente nella mia tesi, è stato accompagnato da un lavoro attento di revisione sugli originali, conservati oggi a Bologna, presso Casa Carducci, dono, in tempi diversi, dalla Casa Editrice Zanichelli (ciò spiega la disparità di segnature proposte nei tomi dell’Edizione Nazionale – principiata da Albano Sorbelli e condotta a termine da Manara Valgimigli – che, per le lettere più antiche, propone la segnatura “Casa Editrice Zanichelli” e, per le restanti, “Biblioteca Carducciana”).
Mi è stato quindi possibile emendare numerosi errori di trascrizione e altri di datazione, che non erano stati riscontrati nei due, pur preziosi, contributi di Torquato Barbieri: Postille alle «Lettere» di G. Carducci.[1] Del resto, come ha già osservato Alberto Brambilla, chiunque abbia maneggiato per i propri studi carducciani o per altre ricerche i volumi dell’Edizione Nazionale sa come questi “costituiscano una miniera inesauribile di dati e di notizie; e al tempo stesso ha constatato come siano, purtroppo, poco affidabili, per diverse ragioni, e soprattutto dal punto vista filologico”. Lo stesso studioso ammonisce anche:
 
Ovviamente, […], non ci si deve pigramente adagiare sul testo dell’Edizione Zanichelli, neppure per quanto riguarda l’aspetto puramente editoriale; non di rado infatti le lettere presenti sono ricavate appunto da minute conservate a Casa Carducci, ma tale è stato segnalato solo in una nota collocata in appendice, così che il lettore crede di trovarsi di fronte alla copia effettivamente inviata, con le conseguenze che ciò comporta. Bisogna dunque avere la pazienza di controllare l’origine di ogni singolo pezzo. [2]
 
Citerò solo due esempi significativi di correzioni apportate in seguito a questi controlli: nel regesto dell’anno 1873 (contenuto nel vol. VIII) si segnala una lettera di Carducci a Borgognoni, datata “Bologna, 27 marzo 1873”, che, secondo il curatore, è “un attestato delle qualità intellettuali e morali del Borgognoni rilasciato per un concorso scolastico”. L’autografo risulta in realtà essere la minuta di una lettera aperta che il poeta inviò al giornale “Il Lavoro” di Lugo di Romagna, in difesa del Borgognoni e contro la sua sospensione dall’insegnamento.[3] Ancora, il volume IX raccoglie una lettera di Carducci datata “Bologna, 28 gennaio 1875”: si tratta, fuor di dubbio, della risposta a una lettera di Borgognoni del 15 gennaio 1876. Ne consegue che la catalogazione dell’Edizione Nazionale è certamente errata: siamo di fronte ad una sorta di lapsus calami di Carducci, che a inizio anno, forse per la fretta, scrive ancora la data dell’anno precedente.
È stato inoltre possibile correggere analoghi errori di datazione anche nel corpus di lettere di Borgognoni e fornire, grazie ai dati interni, una collocazione cronologica più o meno precisa ad alcune missive che erano state classificate come “senza data”.
Mi sono dedicata, in seguito, all’esplorazione dei cataloghi dei manoscritti delle principali Biblioteche italiane, con lo scopo di operare una sorta di censimento delle lettere di Borgognoni ad altri esponenti della vita culturale e politica di quegli anni. Durante questa ricerca mi sono imbattuta in una lunga e importante lettera di argomento politico che il Nostro inviò a Carducci, o meglio a Enotrio Romano, in data “marzo 1868”. Questo pezzo di corrispondenza è conservato oggi nella Raccolta Piancastelli della Biblioteca comunale “Aurelio Saffi” di Forlì (con la segnatura “Carte di Romagna, 78/419”) e non se ne segnalava altrove l’esistenza.
Completata la trascrizione e la correzione del carteggio, mi sono preoccupata di corredare ogni lettera di un apparato di note a piè di pagina: si tratta principalmente di indicazioni bibliografiche, di riferimenti alle numerose citazioni letterarie, di brani di altre lettere, dell’Edizione Nazionale o inedite (in particolare conservate presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, su cui tornerò più avanti), che permettono di contestualizzare meglio situazioni o problemi. Si sono rese necessarie anche note bio-bibliografiche per inquadrare i numerosi personaggi citati: dato l’elevato numero di queste ultime e per evitare sproporzioni nell’apparato, sarebbe forse ipotizzabile la creazione di un “Dizionario bio-bibliografico dei personaggi citati”, da posticipare al carteggio.
Prima di passare ad esaminare le fasi successive del mio lavoro di quest’anno, vorrei presentare qualche breve, ma spero interessante, considerazione che è già possibile trarre dalla lettura complessiva delle lettere Borgognoni-Carducci, nucleo centrale della mia tesi.
Innanzitutto devo precisare che né di Borgognoni né di Carducci sono stati rintracciati tutti i pezzi di corrispondenza (aspirazione, forse, utopica per chi si occupa di carteggi…). Per entrambi qualche missiva, purtroppo, deve essere andata irrimediabilmente perduta (con una maggioranza di lacune, anche in questo caso, sul versante carducciano). Si veda, ad esempio, questo caso: il 3 marzo 1886, Borgognoni scrive a Carducci:
 
Caro Giosuè, io conservo come reliquie le lettere degli amici, e me le vado non di rado rileggendo per mia consolazione e conforto. E quando mi piglierebbe a momenti la tentazione di lamentarmi di te, di te che non mi hai nemmeno risposto una riga agli auguri che ti facevo per capodanno, piglio in mano una tua vecchia cartolina dove è scritto: “Non tenermi il broncio, ti prego, per lo mio raro scrivere. Io penso sempre a te, ma lo strascinare questa brutta punta di ferro giù per la carta mi è grave: tanto mi tocca affaticarmi da mattina a sera”. E letto che ho ciò, la tentazione è vinta.
 
Di questa cartolina postale, gelosamente conservata dal romagnolo, oggi non vi è traccia. Come si evince dai numeri citati più sopra, la sproporzione tra le lettere dell’uno e dell’altro dei corrispondenti è evidente. Le missive di Carducci sono circa un terzo di quelle di Borgognoni e sono tutte, salvo rare eccezioni, responsive a quelle dell’amico. La disparità dei numeri non crea però disarmonia, poiché Borgognoni, consapevole dei numerosi impegni del destinatario, o, più semplicemente, della sua pigrizia nel rispondere, interviene quasi ogni volta con battute e rimproveri o con riassunti che rinnovano le richieste precedenti.
Vi è poi un lungo buco di corrispondenza che si estende dal 2 marzo 1874 al 20 marzo 1875. I motivi di questo prolungato silenzio sono da ricondurre agli avvenimenti della sera del 3 agosto 1874, quando venivano arrestati, per ordine del Ministro Minghetti, nella villa Ruffi presso Rimini, alcuni capi del Partito Repubblicano della Romagna, accusati di preparare movimenti insurrezionali. Tra questi vi erano Aurelio Saffi, Eugenio Valzania e Alessandro Fortis. I repubblicani romagnoli pubblicarono allora un violento manifesto di protesta, sul quale compariva anche la firma di Borgognoni, apposta senza la sua autorizzazione. Per questo motivo, fu emesso nei suoi confronti un mandato di cattura. Rifugiatosi a Bologna, prima dall’amico Enrico Panzacchi, si nascose, dal 15 agosto dello stesso anno, in casa Carducci.[4] Questo periodo di latitanza, che durò fino al 9 dicembre, è lo spartiacque decisivo tra una conoscenza formale e l’inizio della solida e duratura amicizia tra i due.
A livello tematico, il carteggio si sviluppa su tre direttrici principali, che affiancano altri temi “minori”, e che possono essere così schematizzate: da un lato il tema politico, dall’altro quello letterario e, infine, quello privato. L’argomento politico è già in parte emerso nel racconto dei fatti di villa Ruffi. Aggiungerò solamente che la cosiddetta conversione di Carducci alla monarchia non compromise l’amicizia tra i due, tanto che il 17 marzo 1891 Borgognoni gli scrisse:
 
Ti pongo una mia idea. Ti piacerebbe che in uno scritto, di forma calmissima, io rimettessi le cose a posto? Piglierei dal fatto tuo occasione di parlare di questi benedetti partiti italiani dove oramai non ci si raccapezza più. Per me tu sei sempre il Carducci che politicamente ti professasti nelle ultime pagine del Ça ira… Se volevano sconfessarti, dovevano sconfessarti allora. Non ti nego che certe cose che hai fatto e scritto in questi ultimi tempi a me non hanno finito di piacere, e debbo avertelo detto altre volte; ma se sono errori, sono errori provenienti dalla tua generosità, e la sostanza dell’uomo politico non ne resta né menomata né intaccata.
 
Sul versante letterario, il poeta è per Borgognoni “lo mio maestro e lo mio autore”, come spesso lo apostrofa prendendo in prestito i versi danteschi. Le lettere legate tra loro da questo filo rosso si connotano come vere e proprie lezioni teoriche, in cui Carducci interviene a sanare le incertezze dell’avvocato-professore: ne sono un esempio chiarissimo le missive del 4 e del 30 luglio 1877, definite da Guido Capovilla come una “vera summula tecnica delle prime barbare”.[5]
Non mi soffermerò qui sugli aspetti di carattere privato, che dal 19 maggio 1868, data in cui nelle lettere di passa da “lei” al “tu”, vengono ad interessare quasi ogni invio, con una profonda condivisione emotiva da parte di entrambi dei numerosi gravi affanni che afflissero le loro vite (a partire dai reciproci dolori per i figli, con la perdita di Dante e la malattia di Romeo).
È possibile inoltre operare un’ulteriore suddivisione nel carteggio, che risulta bipartito, ovviamente per le sole lettere di Borgognoni, in due periodi: il periodo romagnolo (con le lettere inviate da Imola, Lugo e soprattutto da Ravenna) e il periodo pavese. Quest’ultimo ha inizio con la lettera del 2 marzo 1890, la prima inviata dopo la nomina a professore straordinario di Letteratura italiana presso il nostro Ateneo (nomina ottenuta da una commissione di concorso presieduta dallo stesso Carducci). Da questo momento le lettere sono pressoché incentrate sul racconto della vita universitaria, sulle frequenti lamentele per le difficoltà economiche e sulle “lotte intestine” per ottenere l’ordinariato. A tal proposito, per ricostruire in modo più dettagliato queste vicende, una fonte di documenti preziosa è, come avevo già avuto modo di spiegare lo scorso anno, l’Archivio Storico dell’Università di Pavia, che attraverso i Verbali dei Consigli di Facoltà e dei Consigli Accademici consente di reperire utili informazioni. Sono ancora in corso le ricerche, sempre sui materiali di questo Archivio, che mi permetteranno di compilare un elenco degli allievi pavesi di Borgognoni e degli argomenti dei corsi che egli tenne nei suoi tre anni di insegnamento. Purtroppo, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, devo segnalare che tutti i registri compilati dal docente sono andati perduti e che potrò ricavare qualche notizia solo da fonti indirette come lettere ai colleghi, al Preside di Facoltà o al Rettore.
L’ultimo terreno di indagine di quest’anno è stato per me quello offerto dai materiali conservati presso il nostro Fondo Manoscritti, che mi è già capitato di citare nel corso della mia esposizione e di cui ora dirò più diffusamente. Si tratta di un corpus di 263 lettere inviate a Borgognoni da 65 diversi mittenti, tra i maggiori esponenti della cultura italiana del periodo, e donate dal figlio Romeo a Cesare Angelini. Il primo dato che occorre rilevare è quello di una accertata parzialità di questo fondo epistolare, già testimoniata, nel 1923, alle soglie della donazione, da Maria Mainetti in un articolo dal titolo Il carteggio di Adolfo Borgognoni[6], e confermata da mie nuove ricerche, alcune ancora in corso. Basti pensare, ad esempio, che le lettere di Alessandro D’Ancona a Borgognoni sono 13, mentre quelle di Borgognoni al maestro pisano sono ben 42 (conservate a Pisa, presso la Biblioteca della Scuola Normale Superiore). Maria Mainetti afferma poi che da questo nucleo mancherebbero anche alcune missive di Giuseppe Mazzini a Borgognoni e che 12 pezzi di corrispondenza dell’editore Zanichelli siano stati donati dal figlio secondogenito alla città di Udine. Questi dati sono ancora tutti da verificare e, al momento, non posso pronunciarmi in merito in modo sicuro.
Le lettere pavesi a Borgognoni, alcune delle quali già rese note negli anni in articoli dello stesso Angelini, di Angelo Stella e di Cesare Segre,[7] erano state oggetto di un tirocinio di laurea specialistica, che ne aveva permesso una prima sistemazione. La trascrizione integrale che ne ho operato mi ha consentito di correggere qualche errore di attribuzione che era occorso nel precedente ordinamento e mi ha fornito preziosi materiali inediti che arricchiranno il mio commento.
 
Dal carteggio
Manzoni e il “manzonismo” nelle lettere di Adolfo Borgognoni e Giosue Carducci
 
Il primo accenno a Manzoni e agli studi manzoniani nel carteggio è in una lettera di Borgognoni a Carducci datata “Ravenna, 29 maggio 1881”:
 
Credi tu che la “N. Antologia” accetterebbe uno scritto molto poco manzoniano sul Manzoni? L’avevo cominciato pel “Don Chisciotte”, ma mi è cresciuto talmente che al Cavaliere della trista figura non può più convenire.[8] Del libro del D’Ovidio[9] hai pienamente ragione: egli quanto alla lingua pone benissimo e benissimo risolve la questione, e i suoi fervori manzoniani sono ormai più di forma che di sostanza, se forse non sono il soave licore che asperge l’orlo del vaso.[10] Io mi persuado ogni giorno di più che tutta questa manzoneria è una brutta scrofola della nostra letteratura. E anche il realismo che ha fatto tanto chiasso che cos’è se non il manzonismo allo stato acido?
 
A questa lettera Carducci risponde con una missiva datata “Verona, 4 giugno 1881”, dove sentenzia:
 
Ciò che il Manzoni fece di bello e di buono rimanga pure, e fruttifichi ancora: ma la giacobineria del metodo e delle teoriche abbasso.[11] 
 
L’argomento ritorna di grande attualità l’indomani di un articolo pubblicato da Bonaventura Zumbini sulla “Domenica del Fracassa”, in risposta all’intervento di Borgognoni, sul medesimo giornale, Il Manzoni nelle scuole.[12] La polemica che ne scaturisce, e che ha come principale terreno di scontro, oltre alle pagine domenicali del “Fracassa”, anche quelle del “Fanfulla della Domenica”,[13] si inquadra appieno nel dibattito sui Programmi e istruzioni per l’insegnamento nei Ginnasi e nei Licei, emanati, nel 1884, dall’allora Ministro Michele Coppino, che prescrivevano la lettura delle opere di Alessandro Manzoni nella III classe del liceo.[14] Borgognoni nelle sue pagine difendeva l’impostazione delle Letture italiane[15] compilate da Carducci, insieme con Ugo Brilli e affermava:
 
In qualsiasi modo, regola e proporzione s’abbiano a leggere e a studiare gli autori moderni nelle scuole, egli è certo che conviene fare una scelta dei meglio adatti ai giovani, sia nell’intendimento della loro coltura, sia nell’altro, non meno importante, della loro educazione morale e civile. Il Manzoni è tra i più adatti? Io francamente rispondo: no.
Lasciamo là quell’eterno confronto tra le due redazioni dei Promessi Sposi,[16] ch’è forse esercizio troppo critico e troppo difficile a esser fatto bene nel ginnasio, e forse anche nel liceo, e finisce per lo più […] col far mandare al diavolo dagli scolari e le due redazioni e il romanzo e chi lo fece e chi lo spiega. Meglio ad ogni modo per un esercizio simile […] il confronto tra loro delle tre redazioni dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto […].
Quello stile, quella rappresentazione, sono cose troppo fini, troppo sottili, troppo smorzate: pei giovani il Manzoni è quel che sarebbe un uomo che camminasse sempre adagio adagio e in punta di piedi: e’ non lo piglierebbero volentieri a passeggio con loro.[17]
 
Il giudizio sulla fortuna del Manzoni nelle scuole emerge perentorio e, per così dire, profetico:
 
Badino a questo, piuttosto, coloro che non trovano altro libro fuori dei Promessi Sposi da proporre all’imitazione dei giovani, che non sanno raccomandare allo studio se non quell’eterno confronto tra il primo e il secondo testo dei Promessi Sposi, che, parlando del Manzoni trovano naturale mettergli accanto Dante Alighieri; badino, dico, che se si va avanti ancora di questo passo, verrà il giorno d’una riazione atroce e il pubblico, ristucco del Manzoni cucinato in tutte le maniere e servito in tavola con tutte le salse, manderà i Promessi Sposi con tutti i suoi banditori, spositori e commentatori, li manderà tutti al diavolo.
 
Ed è interessante che le parole conclusive siano affidate all’autorità del “maestro” Carducci e riprendano proprio il passo della lettera sopraccitata:
 
Seguitiamo dunque pure a studiare il Manzoni, ma non solamente il Manzoni; duri il culto, ma non l’idolatria del Manzoni. “Ciò che il Manzoni – m’approprio le parole d’un critico egregio – fece di bello e di buono rimanga pure, e fruttifichi ancora: ma la giacobineria del metodo e delle teoriche abbasso”.[18]
 
Borgognoni si rivolge dunque alla corrispondenza privata, facendone una fonte, un repertorio di sentenze della sua principale auctoritas, cui attingere anche per i propri saggi critici.
 
La decisa reazione alle critiche mossegli da Zumbini è affidata ad una cartolina postale, datata “Ravenna, 1 marzo 1885”[19]:
 
Caro Giosuè, a me pare che il mellifluo e tirannico articolo dello Zumbini[20] meriti di non passare senza risposta. Sembra che si sian dati l’intesa tutti e voglian vincere, non foss’altro che col numero. Se rispondi tu son certo che menerai qualche colpo anche a difesa del tuo scudiero. Se non ti batti, lo scudiero è incaponito d’entrare in ballo lui. Fuori di celia m’hanno indispettito costoro. E vogliono anche sapere se abbiamo letto tutti i romanzi di W. Scott.[21] Gli diremo questo e altro, se bisogna. E che cavilli da legulei!...
Ti scrivo con risposta pagata per costringerti a rispondermi. Se no, dirò che mi hai portato via cinque centesimi. Ma spero in una lunga lettera che mi compensi anche di quella che mi doveva portar Zeni. 
Tuo Adolfo
 
In attesa di una risposta, lo “scudiero” Borgognoni non tarda a preparare la sua replica allo Zumbini e pochi giorni dopo, il 4 marzo, invia un nuovo “pezzo” manzoniano:
 
Ravenna 4 Marzo 1885
Caro Giosuè,
Mentre attendevo la tua risposta,[22] avevo cominciato a buttar giù le righe che t’accludo. Leggile, e se ti paresse che potessero servire d’antipasto al pranzo che tu prepari, non ti sia grave di spedirle tu al Chiarini, anche perché credo che a te non dirà di no, e a me forse lo direbbe.[23] Tu intendi il perché. Se poi credi che sia meglio non pubblicare, non manderò nulla. Mi rimetto in tutto e per tutto a te. I miei di casa vi salutano e io vi saluto pure e ti abbraccio. Vieni dunque un giorno. Ma lo credo poco.
Tuo Borgognoni
 
Carducci, riscrivendo all’amico, si fa latore anche dei giudizi di Giuseppe Chiarini, allora direttore della “Domenica del Fracassa”. L’obiettivo del giornale è quello di porre fine alla querelle:
 
Bologna, 9 marzo 1885[24]
Caro compare, il Chiarini mi scrive: “Nell’articolo del Borgognoni vi sono delle cose giuste, ma ve ne sono altre, poche, che possono dare occasione a rettificazioni e tirare troppo in lungo la polemica” – qui porta un esempio, e poi – “Capisco che in fondo il discorso dello Zumbini si può tirare alla conclusione che ne ricava il Borgognoni; ma io non vorrei dare troppe occasioni di repliche zumbiniane; anzi, non ne vorrei dar punte”. E conclude che dalla lunghezza del mio articolo si risolverà, tenendo conto del mio consiglio. Io il primo articolo lo finisco cedendo la parola a te.[25] Che vuoi che ti dica? Ora mai il manzonismo o impera o stanca o secca.
Rispondo al Chiarini che io sarei per mettere il tuo breve articolo dopo il mio.
Addio, caro amico, onorando campare. Lessi l’articolo del Torraca.[26] Pur troppo, da un anno sapevo. Ma ciò non toglie che senza il W. [alter] S. [cott] il Manzoni non sarebbe stato.
Addio, amico. Tuo
Saluti a Zeni anche da parte dei Siciliani,[27] e anche a te.
 
L’ultima lettera “manzoniana” di Borgognoni (più avanti nel carteggio compariranno solo altri brevi e poco rilevati accenni) non risparmia feroci critiche neanche a Ruggiero Bonghi, autore di un articolo per il centenario della nascita del Gran Lombardo,[28] nonché strenuo difensore della sua presenza nei programmi della scuola post-unitaria[29]:
 
Caro Compare, la tua lettera mi ti mostra anco una volta quell’eccellente cuore, quell’ottimo amico che sei. Ti ringrazio cordialissimamente. Il Chiarini m’ha scritto anche lui, oggi. Mi muove alcune obiezioni che mi persuadono così così. Io gli ho risposto che faccia le modificazioni che crede e mi mandi le bozze: io vedrò se la cosa è di mia soddisfazione. Ma io, quando scrivo qualche cosa, forse non ci riuscirò, ma m’ingegno che quello che dà fuori sia qualche cosa d’organico, per questo trovo sempre più facile rifare di pianta, che modificare, togliendo qualche parte del fatto. Vedremo s’è più fortunato di me il Chiarini. Del resto, a me fa piacere che quelle poche righe si stampino, ma se non si stampano, tanto fa. Hai veduto il nuovo diluvio di scioccherie e d’adulazioni, in occasione del centenario? Un capolavoro del genere è l’articolo del “Fanfulla” Il centenario d’un grande:[30] “Questo secolo piglierà il nume dal Manzoni. Il Manzoni è più grande di Goethe, di Byron, di Chateaubriand…”, e via di questo e di peggior passo. Gli stranieri hanno tutto il diritto, se leggono queste cose, di dire che siamo una manica d’ignoranti superbi. E il Bonghi, in quella sua prosa, non senza sgrammaticature ch’egli crede anacoluti platonici, se non ne ha dette anche lui! E con quel suo fare sprezzante e antipatico che chiamerebbe i calci, chi l’avesse vicino? Se fosse mai vero che l’Italia odierna pensa tutta così (ma non è vero, e non si può credere) ci sarebbe da piangere sulla miseria della patria, ma, anche i pochi che hanno avuto e hanno il coraggio di contrastare la corrente, potrebbero andar superbi d’essere i soli rappresentanti non dirò del senso critico, ma del senso comune. Attendo con impazienza il tuo scritto.
E ricordati che voglio che tu venga un giorno quaggiù da me. Andremo a mangiare il pesce, a marina, in pochissimi. Anzi voglio che tu venga in grande incognito, per evitare gli importuni. Hai veduto Albicini?[31] Deve essere venuto a Bologna stamattina. Egli va svolazzando in tutta Italia. È un bello originale! Ma, dopo tutto, un eccellente ragazzo, che è quel ch’importa. Speravo di farti un’improvvisata, venendo ieri, perché dovevo difendere una causa in appello. Ma il mio cliente non ha avuto denari da pagarmi. Ci rivedremo dunque a Ravenna: resta fermo.
I miei di casa vi salutano tutti cordialmente. Carduccio è più che mai fermo nel voler essere vescovo. Decisamente Domeneddio vuol santificare il nome di Carducci, così che dove il fallo abbondò, la grazia abbondi.[32]
Addio mio buon amico e compare senza fine onorando: di tre cose oramai non potrei fare a meno in questo mondo: del vino, del tabacco da fumare e della tua amicizia.
Tuo Adolfo
Ringrazia e saluta per me i signori Siciliani. A loro e a te manda molti saluti il buon Zeni.
Ravenna, 10 marzo 1885, mezzanotte.
 
 
Possibili sviluppi
Una volta terminate le ricognizioni sul materiale pavese (Archivio storico e Fondo Manoscritti), mi occuperò di ricostruire nel modo più preciso possibile le vicende del Borgognoni romagnolo e, in particolare, ravennate. Mi saranno certamente molto utili a questo scopo i numerosi materiali conservati presso la Biblioteca Classense di Ravenna, schedati nel catalogo manoscritto Santi Muratori, che dovrò necessariamente consultare in loco. Potrò in questo modo dedicarmi a stendere la parte di introduzione e commento al carteggio, che vorrà essere appunto, insieme con l’apparato di note e con eventuali appendici di cui si è già parlato, la summa di tutte queste indagini e ricerche.
Completeranno il mio lavoro di tesi una bibliografia delle opere “di e su” Borgognoni (le ricerche fin ora condotte hanno permesso e più permetteranno in futuro di integrare quella già esistente)[33] e un indice dei nomi e dei luoghi.  
 
 


[1] Il primo contributo pubblicato in “Giornale storico delle letteratura italiana”, LXXXIX, 1962, pp. 84-119; il secondo, con il medesimo titolo, in “Studi e problemi di critica testuale”, n. 4, 1972, pp. 172-209.
[2] Entrambe le citazioni sono tratte da Alberto Brambilla, Problemi e prospettive nell’edizione dei carteggi carducciani, in Carducci filologo e la filologia su Carducci, Atti del Convegno, Milano, 6-7 novembre 2007, a cura di Michele Colombo, Modena, Mucchi editore, 2009, pp. 33-56. Si veda anche Id., L’epistolario carducciano: problemi di metodo, in Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di Adriana Chemello, Milano, Guerini, 1998, pp. 315-333.
[3] La lettera, datata appunto 27 marzo, fu pubblicata in “Il Lavoro”, Lugo di Romagna, a. III, n. 14, domenica 30 marzo 1873.
[4] Lo si evince da una lettera a Lidia, in cui il poeta scrive: “Ho in casa, dal 15 agosto in poi, un repubblicano romagnolo, che si è rifugiato da me per non essere arrestato: mi conviene mostrarmi sereno per forza. Anch’egli sa tutto: è amico di P.[anzacchi], e da lui o da altri ebbe sentore della cosa fin da due anni: ma io non mi confido a nessuno.”. (Lettera datata “Bologna, 17 settembre 1874”, in LEN, IX, pp. 206-207). Come si è detto, il Borgognoni rimase a Bologna fino al 9 dicembre: “Già la mattina del 9, ieri in somma, mi lasciò un romagnolo, il quale era ospitato in casa mia fin dall’8 agosto, quando io era ancora dove tu sai, per isfuggire alla carcere politica. Egli mi costringeva quasi a star fuori con lui tutte le sere: ora, lui assente, mi manca la cagione di distrarmi o di annoiarmi in compagnia: e preferisco star solo, anche la sera. Ma sai che tiro mi fece il mio ospite latitante? Mi sottrasse dall’albo domestico un ritratto, fra i due che tu conosci il più brutto, e lo dié a Zanichelli consigliandolo a farlo incidere in fronte alla 2ª edizione delle Nuove Poesie. Sì che tu vedrai le N. P. con un orribile ritratto”. (Lettera a Lidia, datata “Bologna, 10 dicembre 1874”, in LEN, IX, pp. 264-265; in questa seconda missiva Carducci retrodata la presenza di Borgognoni in casa sua all’8 agosto). Entrambe le lettere a Lidia qui trascritte sono menzionate in Pasquale Rasicci, Carducci e Adolfo Borgognoni, una sincera amicizia, vista anche da alcune lettere inedite, in Atti del convegno per le onoranze a Adolfo Borgognoni (Corropoli, 31 maggio 1973), Teramo, Centro tipografico, 1975,  p. 43. 
[5] Giosue Carducci, in L’Ottocento, Storia letteraria d’Italia, a cura di Armando Balduino, Padova, Vallardi-Piccin, 1994, p. 99. Le medesime lettere sono citate in: Felicita Audisio, Carducci, l’esametro il pentametro e alcuni antecessori. (In Appendice: Nota sulla scuola bergamasca), in “La rassegna della letteratura italiana”, n. 2, 2005, pp. 371-407.
[6] Maria Mainetti, Il carteggio di Adolfo Borgognoni, in “La Romagna”, a. XIV, ser. IV, fasc. VI, giugno 1923, pp. 279-285.
[7] Cesare Angelini, Lettere di Domenico Gnoli a Adolfo Borgognoni, in “Quadrivio”, 1 e 8 novembre 1936, p. 5 e p. 3, poi nuovamente edite in Id., Nostro Ottocento. Foscolo – Monti – Leopardi – Cattaneo – Carducci – Lettere di Domenico Gnoli, Bologna, Massimiliano Boni editore, 1970, pp. 221-244; Angelo Stella, Lettere di Tobler, Monaci e D’Ovidio a A. Borgognoni sui Falsi di Arborea, in “Strumenti critici”, a. VIII, n. 1, gennaio 1993, pp. 69-70; Cesare Segre, Due lettere di Francesco D’Ovidio a Adolfo Borgognoni, in “Strumenti critici”, a. XIV, n. 2, maggio 1999, pp. 209-213. Angelini pubblicò una miscellanea di lettere a Borgognoni anche in “Saggi di umanesimo cristiano”, IX, n. 2, giugno 1954, pp. 54-60.
[8] Questo studio manzoniano non fu mai pubblicato in rivista, ma venne inserito, con il titolo Alessandro Manzoni, in Adolfo Borgognoni, Studi contemporanei, Roma, Sommaruga, 1884, pp. 9-67.
[9] Francesco D’Ovidio,La lingua dei Promessi Sposi, nella prima e nella seconda edizione, seconda edizione ad uso delle scuole ginnasiali e liceali, con varie appendici, Napoli, Morano, 1880.
[10]Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, I, III, 21-22, “porgiamo aspersi / di soavi licor gli orli del vaso”.
[11] Queste frasi sul “manzonismo” sono state riportate da Guido Capovilla in Giosue Carducci, in L’Ottocento, Storia letteraria d’Italia, a cura di Armando Balduino, Padova, Vallardi-Piccin, 1994, p. 78.
[12] Adolfo Borgognoni, Il Manzoni nelle scuole, in “La Domenica del Fracassa”, a. II, n. 1, 4 gennaio 1885, pp. 3-4.
[13] Oltre agli articoli citati, si vedano anche: Gaetano Lionello Patuzzi, Il Manzoni nelle scuole, in “Il Fanfulla della Domenica”, a.VII, n. 1, 4 gennaio 1885, pp. 2-3 e Francesco D’Ovidio, Il Manzoni nelle scuole, ivi, a. VII,  n. 3, 18 gennaio 1885, pp. 1-2; poi in Id., Scritti linguistici, a cura di Patricia Bianchi, Napoli, Guida, 1982, pp. 98-103.
[14] Programmi e istruzioni per l’insegnamento nei Ginnasi e nei Licei, in esecuzione del Regio Decreto 23 ottobre 1884, Roma, Ripamonti, 1884. Si veda, su questo argomento, Giuseppe Polimeni, Scolarizzazione manzoniana, in Il canone letterario nella scuola dell’Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana, a cura di Renzo Cremante e Simonetta Santucci, Bologna, CLUEB, 2009, pp. 153-216.
[15] Letture italiane, scelte e ordinate a uso delle scuole del ginnasio inferiore da Giosuè Carducci e dal dott. Ugo Brilli, Bologna, Zanichelli, 1883.
[16] Borgognoni allude all’edizione Alessandro Manzoni, I promessi sposi, nelle due edizioni del 1840 e del 1825, raffrontate tra loro dal prof. Riccardo Folli, Briola e Bocconi, 1877-1879, seconda edizione, ivi, 1888.
[17] A. Borogognoni, Il Manzoni nelle scuole, p. 3
[18] A. Borgognoni, Alessandro Manzoni, in Studi contemporanei, pp. 26-28 e 66-67. Questi brani sono già stati ripresi in G. Polimeni, Scolarizzazione manzoniana, pp. 196-197.
[19] Luogo e data della cartolina si ricavano dal timbro postale.
[20] Bonaventura Zumbini, I Promessi Sposi e la critica, in “La Domenica del Fracassa”, a. II, n. 9, 1 marzo 1885, pp. 3-4. 
[21] Borgognoni allude qui polemicamente a queste parole di Zumbini: “[…] non so quanti intendano come la gloria non consista già nell’essere antimanzoniano, si bene nell’avere idee e argomenti e studi tutti propri, con cui sostenere e persuadere altrui il nuovo antimanzonianismo. Or quali nuovi studi, quali nuove idee, quali nuovi argomenti sono stati adoperati a questo effetto? C’è stato forse chi, prima di parlare, abbia creduto opportuno di conoscere le antiche critiche, per non ripeterle almeno così intempestivamente? […] Mi si saprebbe nominare uno che avesse mostrato di aver letto (e non dico nel testo) tutti i romanzi di Walter Scott e tutti i drammaturghi e i lirici inglesi e tedeschi, per addurre nella questione prove tutte proprie, tutte derivate dal lavoro personale, col proprio sudore?” (ivi, p. 3). Sull’argomento si veda anche Adolfo Borgognoni, Per il metodo critico e per Walter Scott, in “Fanfulla della Domenica”, a. VIII, n. 2, 16 maggio 1886, pp. 2-3.
[22] La risposta cui si allude qui non è stata rintracciata, deve pertanto essere ascritta a quel numero di missive carducciane andate irrimediabilmente perdute.
[23] Giosue Carducci-Adolfo Borgognoni, Colloqui manzoniani II. I Promessi Sposi e la critica. Risposta a Bonaventura Zumbini, in “La Domenica del Fracassa”, a. II, n. 12, 22 marzo 1885, p. 2.   
[24] In LEN, XV, pp. 128-129.
[25] Si tratta del sopraccitato articolo Colloqui manzoniani II.
[26] Francesco Torraca, Daniele Cortis, in “La Domenica del Fracassa”, a. II, n. 9, 1 marzo 1885, pp. 1-2. In LEN, XV, p. 129, a questo punto si legge la seguente nota: “Nella “Domenica del Fracassa”, 1 marzo, c’era un articolo del Torraca sul Daniele Cortis del Fogazzaro”. Torquato Barbieri propone: “La nota 1 è da rifare così: «Nel 1873 il Carducci aveva scritto: io mi ero proposto di studiare […] fino a qual punto si può ritenere che il romanzo del Manzoni derivi da quel dello Scott, […]: mi era proposto di esaminare freddamente se certe somiglianze tra questi e la Bella fanciulla di Perth e l’Abate sieno soltanto accidentali. E il Torraca, nell’articolo I Promessi Sposi e la Bella fanciulla di Perth (“La Rassegna”, Roma, 6 marzo 1885) aveva chiarito che l’opera del Manzoni era apparsa in luce avanti quella dello Scott»” (in Postille alle «Lettere» di G. Carducci, “Studi e problemi di critica testuale”, n. 4, 1972, p. 193).
[27] La famiglia di Pietro Siciliani.
[28] Ruggiero Bonghi, Il centenario di Alessandro Manzoni, in “Il Fanfulla della Domenica”, a. VII, n. 10, 8 marzo 1885, p. 1.
[29] Si veda, ad esempio, il saggio Alessandro Manzoni, la lingua italiana e le scuole, premesso alla citata edizione A. Manzoni, I promessi sposi, nelle due edizioni del 1840 e del 1825.
[30] Redazione del “Fanfulla”, Il centenario d’un grande, in “Il Fanfulla”, a. XVI, 7 marzo 1885, p.1.
[31] Alessandro Albicini. Cfr. n. 4, p. 16.
[32] Francesco Petrarca, RVF CCCLXVI, 62: “ove ’l fallo abondò, la gratia abonda.” 
[33] Raffaele Aurini, Adolfo Borgognoni, in Dizionario bibliografico della gente d’Abruzzo, Colledara, Andromeda, 2002, ad vocem.

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