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PEDINI_relazione 2010

Giacomo Pedini, Traduzioni e rappresentazioni della tragedia attica in Italia

tra Ottocento e Novecento

 

Sintesi del lavoro precedente:

Nel corso del primo anno di dottorato è stata elaborata una doppia mappatura delle traduzioni e delle rappresentazioni dei tragici attici in Italia nell'Ottocento e nel Novecento. Dallo spoglio effettuato, naturalmente in parte aggiornato durante le ricerche svolte nel secondo anno, emergevano alcuni spunti su cui tessere dei possibili percorsi di analisi. In primo luogo risultava come la ricezione del tragico antico nell'Ottocento fosse stata principalmente, anche se non esclusivamente, mediata, specie sulle scene, dalla figura di Vittorio Alfieri – benché si ebbero delle sporadiche, ma non irrilevanti, sortite dirette di traduttori (talvolta entro l'alveo dell'accademia e degli studi storici) e attori fuori dai menzionati percorsi alfieriani. In seconda battuta, per quello che riguarda il Novecento, emergeva, sia nell'ambito delle traduzioni sia in quello delle messinscena, una sorta di ipertrofia produttiva a partire da un'esplosione di rappresentazioni e pubblicazioni avvenuta nei primi decenni del secolo.

 

Ricerche svolte e ipotesi per una strutturazione del lavoro di tesi:

Nel corso di questo secondo anno di ricerca si è sentita la necessità, in primis, di selezionare un arco cronologico definito all'interno del quale focalizzarsi con maggiore attenzione e in cui rinvenire, per momenti distintivi, delle linee o dei percorsi storici plausibili. In secondo luogo, è stato anche necessario costituire un corpus di testi che testimoniassero singole rappresentazioni di rilievo cui dedicarsi: ovvero bisognava valutare l'esistenza di copioni teatrali in grado di denunciare – oltre il piano della sola ricezione a posteriori affidata per lo più a memorie o a recensioni sulla stampa periodica – la costruzione dello spettacolo sia a livello letterario (drammaturgico e semantico) sia sul versante strettamente teatrale. La conclusione cui si è, per ora, giunti, tramite mirate ricognizioni archivistiche – condotte tra il Museo Biblioteca dell'Attore di Genova, l'Accademia Olimpica di Vicenza e la Fondazione Istituto Gramsci di Roma –, ha condotto alla costituzione di un corpus di nove testi/rappresentazioni.

La prima tragedia considerata è l'Edipo re sofocleo tradotto da Felice Bellotti e messo in scena da Gustavo Modena nel 1847, prima a Milano e poi a Vicenza, di cui si conservano le edizioni pubblicate ad hoc in vista della sontuosa rappresentazione vicentina tanto del testo quanto dei cori composti per l'occasione da Giovanni Pacini, in parte anche su versi nuovi di Jacopo Cabianca. Successivamente si è scelto l'Edipo nel bosco delle Eumenidi di Giovanni Battista Niccolini messo in scena da Tommaso Salvini durante le stagioni teatrali 1857 e 1858. Dello spettacolo si possiede il copione manoscritto dello stesso Salvini, con interventi correttori e visti di censura, rinvenuto presso il Museo Biblioteca dell'Attore di Genova[i] – e su questo caso intenderei soffermarmi successivamente. Escluse le due rappresentazioni di Modena e Salvini il corpus si concentra sul primo Novecento, in quanto gli altri episodi ottocenteschi di possibile rilievo avrebbero testimoniato o, sul versante teatrale, la fortuna di Vittorio Alfieri tra ultimi attori tragici di eredità romantica – come è il caso di Achille Majeroni accanto a quello più noto di Tommaso Salvini stesso – o, sul piano letterario, le prime prove di traduttori di stretta attività accademica – come, ad esempio, Bernardo Quaranta, Giuseppe Fraccaroli e, infine, Luigi Alessandro Michelangeli.

I primi testi novecenteschi considerati sono dunque: Le Baccanti euripidee tradotte da Ettore Romagnoli e pubblicate ad hoc nel 1912 in occasione della messinscena a cura dello stesso grecista debuttata a Fiesole; l'Agamennone sempre di Romagnoli e pubblicato a parte in relazione alla prima uscita siracusana del noto traduttore-apparatore nel 1914 e, ancora da Romagnoli, Le Coefore stampate isolatamente nel 1921, quando il grecista riprendeva, dopo l'interruzione bellica, le sue regie ante-litteram siracusane.

Inoltre sono stati selezionati altri tre copioni, con annotazioni manoscritte, conservati ancora presso il Museo Biblioteca dell'Attore di Genova[ii] e appartenuti al regista Guido Salvini, nipote di Tommaso. Due dei copioni testimoniano la stretta collaborazione tra il regista stesso e il grecista e traduttore Manara Valgimigli. Il primo è infatti legato alla rappresentazione dei Sette contro Tebe nel 1937 a Vicenza su traduzione di Domenico Ricci e collaborazione “teatrale” di Valgimigli, mentre il secondo è in rapporto alla messinscena di un Edipo re, tradotto da Valgimigli stesso, debuttato all'Olimpico nel 1948. Infine il terzo copione testimonia una Medea, su traduzione di Ettore Romagnoli, allestita a Ostia nel 1949, protagonista Sarah Ferrati.

Chiude infine il corpus un copione di Luchino Visconti, conservato presso la  Fondazione Istituto Gramsci di Roma[iii], relativo a una Medea da lui diretta nel 1953, su traduzione questa volta di Valgimigli ma con protagonista nuovamente Sarah Ferrati.

Considerato quanto detto, l'orizzonte cronologico individuato risulta indi compreso tra il 1847 e il 1953. Si tratta di un arco temporale consistente che tocca contesti storici sicuramente diversi, all’interno del quale tuttavia è stato possibile rintracciare alcune ipotetiche direttrici. La scelta del 1847 è legata a due ragioni: in primo luogo è l'anno, per l'appunto, della ricca, quanto incerta, “riesumazione” dell'Edipo re sofocleo ad opera di Gustavo Modena; in secondo luogo è l'anno del primo trionfo di Tommaso Salvini nell'Oreste alfieriano, debuttato a Roma solo due anni prima della brevissima esperienza repubblicana che avrebbe visto il giovane attore impegnato direttamente[iv]. Al contempo la scelta del 1953 nasce dalla considerazione che la Medea di Luchino Visconti abbia segnato una conclamata evoluzione in senso extra-archeologico ed extra-festivo della tragedia attica dopo le varie e fortunate rappresentazioni “di rito” primo-novecentesche (sebbene si debba tenere presente che a quell'altezza cronologica già si erano avute regie tragiche ad opera di Costa, Strehler e De Bosio).

In sintesi, si vuole partire dalla figura e dalla cultura, letta specie mediante i copioni, del grande attore “risorgimentale”, ovvero da Gustavo Modena – che scrisse in quel suo “manifesto” Il teatro educatore «I greci ebbero un teatro: prendiamovi quel che v'era di grande, e d'utile»[v] – e da Tommaso Salvini – che nel canone dei tragici antichi individuava uno dei modelli politico-teatrali cui guardare[vi] nell'ottica di un'ideologia democratico-risorgimentale che pensava al teatro quale mezzo «per l'educazione morale intellettuale e civile del Popolo»[vii].

Pur considerando, rispetto ai due grandi attori, le contemporanee e successive fortune sceniche dell'Alfieri e pur non trascurando le prove di traduttori e studiosi come Fraccaroli e Michelangeli – dato che il primo, grecista e poeta di stampo carducciano, fu maestro e attivo promotore di Ettore Romagnoli e mostrò anche interesse agli esordi di Valgimigli, mentre il secondo, non a caso di formazione bolognese, finì per tradurre tutte le tragedie di Sofocle per l'editore Zanichelli –, nonché le novità che giungevano d'oltralpe con le traduzioni teatralmente fortunate di Leconte de Lisle e delle interpretazioni sofoclee di Jean Mounet-Sully, si intende passare ai tardi anni Novanta del secolo XIX, concentrandosi così sulla figura di Gustavo Salvini. L'attore, figlio di Tommaso, fu in effetti il primo fortunato interprete di lungo corso di Edipo re sulle scene italiane, a partire dal 1897 (e delle rappresentazioni di Edipo da parte del Salvini figlio è utile testimonianza un copione manoscritto presente tra le sue carte  al Museo Biblioteca dell'Attore di Genova[viii], sebbene sia stato vergato da altri e dopo la sua morte). Allo stesso tempo Gustavo fu protagonista delle prime celebrazioni del teatro antico a scadenza quasi regolare organizzate dall'Accademia Olimpica a Vicenza e dalla Società di Atene e Roma a Fiesole.

Si rileva dunque una linea attoriale e familiare, secondo moduli tipici della tradizione d'attore italiano tra Otto e Novecento, che va a concludersi, passando direttamente dal grande attore al regista, con Guido Salvini (nipote di Tommaso e Gustavo) il quale, già assistente di Pirandello, dal 1935, di nuovo in occasione delle celebrazioni tragiche vicentine, mise in scena con l'aiuto di Manara Valgimigli le Coefore eschilee - prima sortita in direzione ora corale e monumentale di una serie fortunata di diverse rappresentazioni “classiche”. Il sodalizio Valgimigli-Salvini pare marcare la stabilizzazione di un nuovo orizzonte di messinscena del tragico attico, oltre il protagonismo attoriale ottocentesco e dei primissimi anni del Novecento, nel segno invece della collaborazione – spesso in occasione di grandi manifestazioni spettacolari – tra studiosi o letterati di professione e registi.

Accanto a questo terzo momento della quasi lineare – in relazione agli scopi di questo studio naturalmente – genia dei Salvini, si staglia tuttavia, in posizione dominante, Ettore Romagnoli, soprattutto perché in lui tende a ricongiungersi tanto certa tradizione poetico-letteraria sviluppatasi sul finire dell'Ottocento in ambito accademico, come accennato in precedenza a proposito di Fraccaroli e Michelangeli, quanto una visione teatrale già parte di un orizzonte proto-registico votato a rappresentazioni corali non più pensate in rapporto solamente ad attori solisti. Allo stesso tempo non si possono trascurare le abilità organizzative del nazionalista, e poi fascista, Romagnoli, capace di creare stabilmente e di far riconoscere a livello istituzionale il primo festival esclusivamente dedicato al teatro attico –  dando vita a spettacoli che, tra l'altro, sembrano anticipare moduli propri del noto progetto mussoliniano per un teatro fascista dei “ventimila”[ix].

 

Illustrazione di un esempio:

La scelta, all'interno del corpus, dell'Edipo nel bosco delle Eumenidi di Niccolini interpretato da Tommaso Salvini primo attore nel 1857 della compagnia di Cesare Dondini – la tragedia aveva debuttato a Firenze nel 1823 con Paolo Belli Blanes, noto attore tragico, poco prima della sua morte – risponde ad alcune ragioni particolari. Si tratta infatti dell'unico testo all'interno del corpus che non sia strettamente una traduzione dai tragici, ma una riscrittura dell'Edipo a Colono sofocleo: è tuttavia un lavoro di interesse sia in quanto uno dei pochi tentativi di una messinscena di tragedie di argomento greco che, nel corso dell'Ottocento, si situi al di fuori dell'orizzonte alfieriano, sia in quanto prova giovanile di Tommaso Salvini documentata da un copione manoscritto. Stando alla testimonianza dello stesso Salvini, la scelta dell'Edipo fece seguito a una richiesta esplicita proprio del Niccolini e, sempre facendo fede alle più tarde memorie dell'attore (che tra l'altro menziona il testo con il titolo di Edipo a Colono), la tragedia ebbe, nelle stagioni in cui fu presentata al pubblico, un «lusinghiero incontro»[x]. Del legame tra l'anziano Niccolini e Salvini ventenne si hanno chiare testimonianze, tanto che lo stesso Niccolini stabilì con marchio di stampa nel 1858 l'esclusiva a beneficio del grande attore della tragedia Mario e i Cimbri[xi]. Considerate queste premesse, ci si è occupati dell'analisi drammaturgica del copione, eseguendo in primo luogo una collazione tra il manoscritto, vergato a penna, posseduto da Salvini[xii] e alcune specifiche stampe della tragedia: ovvero la princeps uscita anonima per Fabiani e Stefano Batini nel 1825, le versioni contenute nelle edizioni Le Monnier di tutte le opere curate dall'autore in persona – precisamente la prima del 1844 e l'ultima del 1858 –, l'edizione Capolago del 1831 e quella napoletana, facente parte di una vasta antologia tragica, solamente datata 1851. Innanzitutto si è potuto notare come il copione conservato a Genova sia ordinato e steso con cura; esso deriva probabilmente dall'edizione Le Monnier, plausibilmente 1844, di cui segue con scrupolo non solo il testo, ma anche la distinzione tra maiuscole e minuscole, la punteggiatura (a parte alcune oscillazioni a favore della stampa 1858) e, soprattutto, l'andamento degli endecasillabi anche quando sono spezzati in diverse battute. Questo manoscritto allestito con attenzione mostra, comunque, alcune curiose varianti rispetto alle stampe considerate e anche alcune non trascurabili correzioni interne. Le varianti di maggior rilievo tra il copione e le edizioni riguardano alcune lacune o relative alle battute di Polinice o in corrispondenza di passaggi in cui non è dominante la presenza di Edipo. In particolare sono radicalmente ridotte la scena seconda e terza del primo atto mentre manca interamente la scena terza del quinto atto, con annesse buona parte della seconda e della quarta. In questi casi il copione di Salvini infatti non riporta i versi presenti in tutte le stampe e, nel quinto atto, procede anche a una rinumerazione delle scene che tenga conto del “salto” operato tra la seconda e la quarta (salvo inserire un asterisco in corrispondenza del taglio effettuato)[xiii]. Soltanto queste macrovarianti possono aiutare ad avanzare l'ipotesi che il copione fosse stato allestito per una messinscena che desse maggior spazio al primo attore, Tommaso Salvini interprete di Edipo, sacrificando tutte le altre figure di spicco previste dal testo, specie quella di Polinice (all'occasione interpretato dall'attor giovine e primo amoroso della compagnia Giovanni Aliprandi) – sebbene uno dei motivi dominanti della tragedia sia proprio l'oscillare di Polinice tra ricerca della pietà paterna e la volontà di riprendere a tutti i costi il potere a Tebe.

Accanto a queste lacune, qui interpretate come frutto di una prassi drammaturgica – ipotesi rafforzata da soppressioni operate sul copione, come ad esempio l'eliminazione dell'intera e lunga battuta di Acasto che apre il quinto atto e rappresenta il maggior contributo in termini di spazio offerto al personaggio all'interno della tragedia[xiv] –, vi sono anche una serie di versi, o piccoli passi, cassati nel manoscritto e accompagnati, sui margini destro e sinistro, da postille recanti la dicitura “no” a penna (ventidue casi) o la lettera “R” a matita rossa (sei casi di quindici totali varianti sul testo eseguite in matita rossa). Questi passaggi soppressi sono generalmente coincidenti con asserzioni più o meno anti-tiranniche o di velato patriottismo. Ad esempio, i versi affidati a Edipo nella scena quinta del quarto atto – «e falli ignoti / Sull'innocente capo il cielo aduna / Per infamar lo scettro, e punir volle / Tutti in Edippo i re...»[xv] – sono cassati a penna mentre sul margine sinistro è segnato un vistoso «No»; allo stesso tempo il verso affidato al Gran Sacerdote che chiude il primo atto – «Qui sullo stesso re la legge impera»[xvi] – è cancellato a matita rossa, mentre tanto a destra quanto a sinistra vengono riportate due vistose «R».

Sono altresì esistenti ulteriori varianti sul manoscritto che tuttavia non presentano postille ai margini – e non sono solo soppressive, come nel caso della prima scena del quinto atto già menzionata. Tra queste ultime, sono interessanti alcune varianti sostitutive che, sistematicamente e frequentemente, vanno a correggere tutti i lemmi legati a una semantica del divino di matrice “cristiana” («Dio», «Iddio», ma anche «inferno») in  termini che richiamino la religiosità pagana («Numi», «averno» o il polivalente «Cielo»)[xvii].

Passando a un tentativo di più organica interpretazione, si può ipotizzare, considerato il fatto che il copione di Salvini rechi anche visti e timbri di censura di varie città italiane (Venezia, Milano, Torino, Roma, Firenze, Palermo), che le varianti legate alle postille ai margini siano il frutto di interventi indiretti o diretti dei diversi uffici censori o di polizia cui il manoscritto fu sottoposto. Al contempo le varianti sostitutive legate alla semantica lessicale della sfera religiosa possono essere imputate, se non a un altro intervento politico esterno, al desiderio di un adattamento della tragedia a un clima rigorosamente “classico” in ottemperanza ai caratteri dei personaggi.

Le conseguenze di questo molteplice “trattamento” cui il copione viene sottoposto comportano però l'eliminazione di due riconoscibili e riconosciuti motivi forti della tragedia: la critica al tiranno e la questione della punizione divina, tema che giunge al suo apice nel finale quando Edipo muore folgorato – e la didascalia che esplicita la morte del sovrano tebano è, tra l'altro, soppressa nel manoscritto di Salvini e accompagnata da un «no» sul margine destro del foglio[xviii].

Privando il testo di Niccolini dei suoi temi fondi, l'esito teatrale della rappresentazione viene messo a rischio. Dallo spoglio della stampa periodica milanese in occasione del debutto avvenuto nella città lombarda si rileva infatti il decisivo fallimento dello spettacolo. Se alcuni periodici restano elegantemente in silenzio, mentre appena due giorni prima dell'unica replica milanese dell'Edipo avevano tributato il trionfo alla nuova ripresa da parte di Salvini dell'Oreste alfieriano, altri sono risoluti nello stroncare l'opera. Curioso è il fatto che, nell'unica recensione articolata che è stata rinvenuta, sul settimanale di simpatie democratiche «La Stampa», si segnali il successo degli attori, Salvini e la Cazzola in primis, a fronte del fallimento del testo – per quanto Niccolini venga ricordato per la sua indiscussa autorità in campo letterario e non solo. Tuttavia, prima di chiudere la non lusinghiera analisi della tragedia e passare all'elogio dei protagonisti (unico neo, l'Aliprandi interprete del menomato Polinice), il recensore si sofferma a considerare che «se potesse quel lavoro venir ritoccato otterrebbe il più brillante successo»[xix]. (Relazione conclusiva II anno del Dottorato di Ricerca in Filologia Moderna, Pavia, 23 giugno 2010).



[i]      Cfr. «Edipo / Tragedia di / G. B. Niccolini», copione composto da 26 ff. manoscritti vergati a penna sia sul recto che sul verso, con alcuni interventi a matita di colore rosso, non numerato e con varie indicazione di datazione comprese tra il 1857 e 1861 dovute ai visti di censura, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Tommaso), Copioni, 39, G. B. Niccolini, Edipo.

[ii]     Cfr.  rispettivamente «ESCHILO / I SETTE CONTRO TEBE», copione rilegato in volume di 48 ff. a stampa con note manoscritte, non datato, non numerato, con copertina in pelle rossa, e contenente entro i fogli di guardia una copia di Eschilo, I Sette contro Tebe. Traduzione metrica di Domenico Ricci, Livorno, Raffaello Giusti Editore, 1925, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Guido), copioni 1937, 1746/806, I sette contro Tebe di Eschilo; «SOFOCLE / ** /  EDIPO RE», copione rilegato in volume di 103 ff. dattiloscritti sul solo recto, ma con note manoscritte in recto e verso, non datato, con copertina in pelle rossa,  in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Guido), copioni 1948, 1770/830 Edipo re di Sofocle; «MEDEA / EURIPIDE», copione rilegato in volume di 48 ff. a stampa con note manoscritte, non numerato, datato in matita rosa al f. 5(v) “Ostia / 26-VI-1949”, con copertina in pelle rossa, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Guido), copioni 1949, 1773/883 Medea di Euripide.

[iii]    Cfr. «Medea di Euripide», copione di 63 ff. dattiloscritti, con diverse correzioni manoscritte, in Fondazione Istituto Gramsci, Fondo Luchino Visconti, Serie 5: Teatro di Prosa, UA 29: Medea, Copione 14, Medea di Euripide , 1952.

[iv]    Cfr. Celso Salvini, Tommaso Salvini nella storia del teatro italiano e nella vita del suo tempo, Bologna, Cappelli, 1955, pp. 88-99, nonché: Lettera del gen. Giuseppe Avezzana per l'attestazione della partecipazione di Tommaso Salvini all'assedio di Roma del 1849, Napoli, 12 febbraio 1861, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Tommaso), Carte Amministrative, Contabili e Varie, 889/853.

[v]     Gustavo Modena, Il teatro educatore [1836], in Id., Scritti e discorsi di Gustavo Modena; 1831-1860, a cura di Terenzio Grandi, Roma, Istituto per la storia del risorgimento italiano, 1957, p. 249.

[vi]    Cfr. Tommaso Salvini, «Discorso di ringraziamento in occasione dei festeggiamenti per l'80° compleanno», 2 ff. protocollo a righe  rilegati a costa e vergati a penna in recto e verso ad esclusione del f. 4 e con ulteriori correzioni manoscritte, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Tommaso), Scritti – Copioni – Versi, 656/620.

[vii]    Tommaso Salvini, «Relazione di un progetto per l'educazione morale intellettuale e civile del Popolo»,  5 ff. sciolti a righe, vergati a penna sul solo recto, con numerose correzioni manoscritte sempre a penna, non datati e non numerati, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Tommaso), Scritti – Copioni – Versi, 636/600.

[viii]   Cfr. «Edipo Re / 3 Quadri / di / Sofocle», copione datato marzo 1934 e firmato da A. Scocca, in qualità di copista, e da Giovanni Pastore, composto da 30 ff. manoscritti ripartiti in tre fascicoli, vergati in ogni fascicolo su recto e verso con due diverse penne blu, una rossa e a matita, in Museo Biblioteca dell'Attore, Fondo Salvini (Gustavo), Copioni, 66, Sofocle, Edipo re.

[ix]    Cfr. Roberto Forges Davanzati, Mussolini parla agli scrittori, in «Nuova Antologia», LXVIII (16 maggio 1933), fasc. 1468, pp. 187-193.

[x]     Tommaso Salvini, Ricordi aneddoti e impressioni dell'artista Tommaso Salvini, Milano, Dumolard, 1895, p. 135.

[xi]    Giovanni Battista Niccolini, Mario e i Cimbri; tragedia di Giovan-Batista Niccolini, pubblicata per cura di Corrado Gargiolli, Firenze, Felice Le Monnier, 1858, p. 83.

[xii]    Per il quale vedi sopra nt. i.

[xiii]   A proposito delle scene citate si vedano nel copione rispettivamente i ff. 3(v), 5(r) e 25(r) in relazione a Giovanni Battista Niccolini, Opere di G.-B. Niccolini. Edizione ordinata e rivista dall'Autore, Firenze, Felice Le Monnier, 3 voll., 1844, vol. I, pp. 120-1, 124-5 e 170-4.

[xiv]   Si veda nel copione il f. 24(v).

[xv]    Si veda nel copione il f. 23(r).

[xvi]   Si veda nel copione il f. 5(v).

[xvii]  Si vedano, a puro titolo di esempio, già  i soli ff. 3(r), 7(v) e 12(r).

[xviii]  Si veda nel copione il f. 27(r).

[xix]   Cfr. s.a., Teatri, in «La Stampa», I (4 novembre 1857), n. 26, p. 3.

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